Il Romanzo del mese

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Lasciate fare i professionisti

Io sono Mario. Entrai alla Poltroni a vent'anni. La giornata era di otto ore, la settimana di quarantaquattro. I soldi più che sufficienti per vivere con dignità. Dopo trent'anni non so. Dovrò chiedere a Luigi, lui c'era prima di me ed ora è in pensione. Lui sa dare un significato alle cose, io non mi ci raccapezzo più. Ma saprà dare una spiegazione anche al delitto? Chi c'entra, chi è implicato? E soprattutto chi pagherà? Una Società finanziaria? Gli americani? …Ma non intervenivano in tutte le guerre per riportare pace e giustizia? E da noi allora perché tutto è avvenuto all'inverso? Dove sono finiti i "vecchi" Poltroni, cosa staranno combinando?

Preliminari di una riscossa Erano li convenuti i "vecchi" e i giovani, i vivi e i morti, parenti per sangue o acquisiti che fossero. Un giorno si erano divisi, ora un fine li unisce: riprendersi la Spettabile Ditta. Ma prima la resa dei conti. Una catarsi fra generazioni legate da molti vizi ed una sola virtù: l'appartenenza al Casato. Nello spoglio refettorio del convento sono arrivati alla spicciolata: chi direttamente dall'aldilà con volo speciale, i viventi con l'auto, il Signor Ubaldo come al solito, a piedi. Il padre guardiano, preavvertito da chi di dovere, ha controllato che nei pressi non ci fosse la "stampa", nemico mortale degli intrighi segreti, degli accordi taciuti, dei destini incrociati. Ora tutti siedono contrapposti nelle panche di legno, a disagio come fachiri su tavole prive di chiodi, abituati com'erano in comode sedute di pelle pregiata. Gli "anziani" a destra seduti, di nero vestiti con camicioni avvolgenti dal collo ai garretti. Tutti loro, chi prima chi dopo, mancarono agli altri, i "giovani", a sinistra seduti, composti nei completi "griffati" ed ancor timorosi come ai tempi che furono. Alla conta manca il Signor Aleandro, come sempre prepara il colpo ad effetto, l'ingresso a sorpresa per segnare un punto sugli altri, specialmente su Roncaldo, una vita di paure, una morte alla grande tra cosce gentili e riccioli dorati. "Vieni avanti, papà!", fu Merizio a parlare, con voce imperiosa chiamò sul proscenio il famoso tenore che passata una vita ad ululare, nel momento cruciale, qualche anno indietro, fatalmente steccò, rendendo vana la fama acquisita d'imperatore, trascinando in lugubre processione, tutti gli altri in esilio, meno uno che il Casato tradì. Dallo spesso tendaggio sul fondo, s'udì una tosse nervosa. Era lì da parecchio, ma come suo solito, spiava le mosse di tutti per valutarli, giovandosi in seguito del loro stato d'animo: le debolezze malcelate, le paure, le spavalderie fasulle, gli ipocriti conciliaboli. In passato, avrebbe voluto ed ottenuto silenzio, timore e reverenza, invece bisbigli di comari, sorrisi di scherno neanche troppo nascosti, l'accolsero in sala e dovette a malincuore trovarsi un posto a fatica, incespicando tra i piedi del Signor Giuseppe che angelico lo guardò e gli sorrise benevolo, nonostante in vita fosse stato bersaglio da sempre di quel dardo mortale ormai stecco d'ombrella. "Enrico tradì il Casato!" Un silenzio di tomba calò nella sala. Il Signor Merizio s'era levato in piedi, il braccio destro rigidamente disteso, il dito indice rivolto al cielo quasi a invocare mortali saette sul evocato reietto. "Enrico pagherà insieme ai nuovi padroni. E la vendetta sarà consumata. Torneremo più forti di prima!" Dall'altro lato del tavolo una voce tremante: "Ma come?", il Signor Pietro s'era fatto coraggio. "Abbiamo i nostri figli da proteggere" e più avidamente, "i beni, i nostri capitali accumulati con anni di duro lavoro." Tutti gli sguardi s'erano rivolti al taccagno, stratega di mille consigli, all'ago della bilancia di cento pesate. "Tu sei ancora di questa terra, come puoi pensare di rischiare le tue fort…i tuoi figli contro…contro…la Finanza Internazionale, passi per quel povero Enrico, ma contro di Loro no! Non me la sento." "No…noo! Non possiamo mettere in gioco tutti i nostri averi…il sudore della nostra fronte per accumularli, no questo no! Almeno io non ci sto." La voce nasale di Roncaldo timidamente serpeggiò nella sala ad insinuare dei dubbi, come sempre. "Roncaldo, guarda come sei vestito." Peppino lo guardava comprensivo, ma con compatimento. Roncaldo per effetto condizionato si guardò in lungo e in largo. "Non vedi il camicione, non ricordi da dove veniamo? Di quali "averi" parli? Di quelli di mia figlia, tua moglie? Di quelli dei tuoi figli? Tu possiedi quel ruvido cotone nero che ti avvolge, noi possediamo null'altro." Un brusio che si fece gazzarra scoppiò tra i convenuti. I padri coi figli, i cugini coi loro cugini, i nipoti con gli zii. Defunti e viventi come ai bei tempi discordavano in tutto. "I miei uomini sono pronti", la solita voce di Merizio. Il silenzio tornò sovrano. "Ho mantenuto nel tempo tutti i miei fedeli. Con loro riprenderemo ciò che ci spetta e ci è dovuto. Noi siamo i Poltroni, quelli veri, non quella cariatide di Enrico l'usurpatore al soldo straniero." Il padre guardiano si affacciò timidamente nella sala, le voci e le urla mal si addicevano a quel luogo di preghiera e meditazione e poi c'era quello strano frate che si era acquattato nella botola che veniva utilizzata per gli scambi col mondo esterno. Spiava? Da quel pertugio giunse una voce flebile la cui autorevolezza placò l'assemblea. "Ma che caz… dici Merizio!" Quell'accento… I Poltroni impietrirono: quella voce la conoscevano bene. Per anni li aveva guidati nell'ombra, come ora. Un fraticello discese a fatica dalla botola, il saio era corto e lasciava intravedere pantaloni di velluto di lunghezza misera che davano lustro ad un paio di calze bucate al calcagno. La testa era coperta totalmente dal cappuccio, ma bastò un movimento repentino all'indietro per scoprire il volto di un ometto anziano, di pochi capelli, ma dalla fronte spaziosa. "Peppino! Peppino!" gridò a squarcia gola l'altro Peppino della sala, quello dei Poltroni. E tutti si precipitarono a festeggiare il genio della finanza, lo stratega delle loro ricchezze, il Richelieu della Ditta: della "Spettabile Ditta". Don Peppino Sarago era tornato, la speranza riaccese i loro cuori. "Vedo che la lunga assenza dalla scena non vi ha cambiati per nulla." Il Cardinal de Richelieu guadagnò il centro della stanza. Tutti ripresero il loro posto seduti ed in silenzio. Soltanto il Signor Aleandro s'era eretto come Giulio Cesare di fronte al Senato. "Tu sputa sentenze, tu consigliori del principe traditore, tu come ti permetti di giudicarci dopo averci rovinato. Senza di te il traditore non ci avrebbe gabbato, ritirati orsù nell'ombra dalla quale venisti. Le tue lezioni sono scadute, il tuo tempo è finito." L'assemblea, scossa dalla reprimenda del Signor Aleandro era disorientata. C'era del vero in quelle parole e seppur rancorose per un passato costellato di scontri, dicevano la verità. Ma come privarsi della sagacia dell'omino col saio. "Padre, quello che è stato va dimenticato." Merizio dal lato sinistro dell'emiciclo s'era levato per invocare il Signor Aleandro a sopire i veleni e guardare al futuro. Il Signor Aleandro sedette. Il falso monaco non rispose alle accuse che pur gli bruciavano sulla carne. "Allora…non servono eserciti o amici che ci possano aiutare, ma strategia e raziocinio." La situazione era tornata sotto il suo controllo…come sempre. "Come si può fare Peppino a tornare Padroni?" era il mite Peppino Poltroni a parlare con tutta l'ingenuità che ne aveva caratterizzato la vita. "L'hai detto Giuseppe Poltroni: "Padroni", quando eravate padroni cos'è che vi ha terrorizzato per generazioni?" Nel silenzio della sala s'udì una voce proveniente dal chiuso del confessionale: "MARX" "Carlo Marx". La porta del confessionale s'aprì ed uscì un secondo frate col cappuccio calato sugli occhi. I suoi passi risuonarono blasfemi in quel sacro convento. Un brivido corse lungo la schiena di tutti i Poltroni: i vivi e i morti, i giovani e i vecchi. "Il Comunismooooo!!!" Il coro fu unanime, ma con varie tonalità; si distinse quella del Signor Giuseppe al quale nessuno aveva raccontato della caduta del muro di Berlino. "Si, proprio il comunismo, il tanto vituperato comunismo ci aiuterà a riconquistare il potere, del resto non predicava il potere al proletariato. Cosa siete voi in questa condizione di spirito se non dei poveri reietti." "Attento a come parli Sarago, ricordati con chi stai parlando." Il Signor Aleandro non accettava sberleffi da chi sempre gliene aveva lanciati. "Parlo con chi non conta più nulla Signor ex Presidente, e senza di me ed il mio confratello, neanche potreste far nulla." Gli sguardi dell'uditorio si spostarono sul frate accanto a Don Peppino. Era di corporatura robusta, più alto del suo mèntore, ma il cappuccio nascondeva i tratti del volto. "Come il comunismo si avvalse del Signor Lenin per introdurlo nel sistema e scardinarlo, così noi faremo viaggiare nel vagone piombato, il nostro amico al quale lasceremo lo stesso nome in codice del famoso rivoluzionario. Lui arriverà al cuore della cittadella e forte del carisma che ha sempre esercitato sui lavoratori e il riguardo di chi oggi comanda, affonderà il colpo risolutivo.

Intanto di là dell'Acheronte… Quei maligni brividi che Eugenio sentiva corrergli lungo la schiena, non sapeva se attribuirli al freddo metallo della serratura, sulla quale il suo orecchio a mo' di ventosa ascoltava i dialoghi che avvenivano dall'altra parte della porta, oppure alla consapevolezza del rischio che stava correndo se improvvisamente quella stessa porta fosse stata spalancata e oltre la posizione ridicola si sarebbe aggiunta l'aggravante dello spionaggio. Ma Eugenio era abituato a certe situazioni: aveva iniziato da bambino con lo spiare dal buco della serratura la zia Ernice andare in bagno, naturalmente non per le funzioni specifiche, ma per studiare l'anatomia umana. A quindici anni era un bambino bello sveglio e notando l'ingresso simultaneo della professoressa di francese con il professore di ginnastica nel "solito" bagno, gli era venuto spontaneo aderire ad una lezione gratuita di educazione sessuale. Quando Eugenio era militare a Codroipo, l'origliare alla porta gli era costato caro, il Signor Capitano Donzelli, aveva l'udito fine ed era stato nei "servizi", così che per dieci giorni fu confinato in caserma, ma lo stesso fustigatore gli insegnò i rudimenti dello spione. "Quando sei dietro una porta, valutane lo spessore e la qualità del materiale, non la sfiorare, non respirare, se nella stanza senti una pausa lunga o una voce che s'avvicina, alzati in piedi repentinamente e fai l'atto col pugno chiuso di bussare, sorridi se aprono di scatto quella porta." Il nostro Eugenio, impiegato di 3° livello nella Spettabile Ditta, aveva sempre spiato. Questa volta c'era della bella carne al fuoco: il Duce arringava le sue falangi ed all'interno della Sala del Consiglio, erano troppo attenti alle sue parole per poter intercettare un "professionista" come Eugenio. "…Il personale va subito ridotto di un terzo, entro la Pasqua faremo istanza per un altro terzo, del resto il lavoro sarà già ridotto della metà, non avremo grande opposizione. Prevedo l'operazione chiusura tra un anno a partire da oggi 15 Dicembre…" "A sso lu ta mente nooo! Dissento e non sottoscriverò un piano così dissennato." era un Enrico accorato che tentava di opporsi alle strategie della nuova proprietà. "Tu non puoi imporre un genocidio di queste dimensioni, io ti sputtanerò e ti renderò inoffensivo." Il Duce lo guardava con disprezzo, non si erano mai amati, anzi l'odio era sgorgato dopo pochi mesi di coabitazione. "Prego attivare la video conferenza col Gran Maestro a New York." La sua non fu una richiesta, ma un ordine impartito al giovane Luigi che spaurito attivò il collegamento. Dallo schermo piazzato sul muro apparve un orso grizli dalle improbabili fattezze umane fatto salvo un impeccabile completo blu con cravatta rosso bordeaux. "Good Morning Mister Isaac" il Duce dette il benvenuto, gli altri convenuti con l'eccezione di Enrico, ripeterono a pappagallo "Good Morning Mister Isaac". Un grugnito rispose dall'altra parte dell'Oceano. Per il nostro Eugenio all'ascolto iniziarono i problemi, per lui la lingua inglese era peggio dell'arabo. Ah! Se avesse seguito le invocazioni della povera mamma: studia l'inglese Eugenio, un giorno ti servirà più del gioco delle carte. Ormai era tardi ed inutile piangere sul latte versato anzi sui soldi persi a ramino. Si rialzò indolenzito per la posizione e cogitabondo arò il corridoio. A chi rivelare ciò che aveva udito? Insofferente di ogni imposizione e quindi anarchico per eccellenza, non aveva punti di riferimento in Ditta però l'unico gruppo che poteva sfruttare le notizie era la famigerata "Commissione Interna" un tempo potentissima mente dei lavoratori organizzati, oggi organo ridimensionato di un ceto in via d'estinzione. Mentre Eugenio con circospezione si stava recando verso la sede del Comitato, nella Sala riunioni della Spettabile Ditta, la video conferenza era in corso. La Dirigenza era tutta in piedi intorno al tavolo, il Gran Maestro ascoltava le ragioni dei due duellanti, l'esito era scontato avendo dettato lui stesso al suo Duce le linee guida e le strategie, il Signor Enrico combatteva una battaglia già persa. Non di meno vi si impegnò allo stremo, aveva sulla coscienza un tradimento e le notti non dovevano essergli lievi. Al termine del confronto, il Gran Maestro con voce tuonante indicò con poche parole che non ammettevano replica, la via da seguire. I presenti, ad eccezione del Signor Enrico che uscì sbattendo la porta, annuirono e chinarono la testa, il Duce sorridente salutò il Gran Maestro. Alle pareti della Sala Consiglio che li aveva visti protagonisti, ingabbiati in cornici ed appesi coi chiodi, le immagini dei vecchi Poltroni si rianimarono, quegli occhi inespressivi e spenti all'improvviso s'accesero d'una luce crudele preannunciante vendetta contro gli usurpatori.

Il Comitato Alle rivelazioni terribili che l'Eugenio riportò all'assise riunita per l'occasione, il Comitato dei lavoratori squittì tutta la sua rabbia. Tale era ormai la sua forza e la sua determinazione, che la saletta dove esso si auto convocò, già umida e fredda per suo conto, dovette registrare anche i tremori di quasi tutti i partecipanti: "Oddio! Come faremo?"…"Chi parlerà ai lavoratori e chi all'Amministratore?"…"Perderemo la nostra carica e chi ci rieleggerà più!?" Queste le reazioni di quegli impavidi. L'Eugenio vista e sentita la mala parata, si defilò dalla stanzetta. Se avesse immaginato l'esito del suo "lavoro" invece di rischiare la delazione con quei gaglioffi, avrebbe rivenduto la notizia al suo amico Giorgiogiorgio, giornalista d'assalto e senza paura, che ne avrebbe fatto certamente buon uso e mantenuto la solita discrezione sulle "fonti". Forse la strada era ancora percorribile. Si, avrebbe fissato l'appuntamento col solito sistema: scrivendo alla rubrica del giornale "La Verità", "Tutta la verità: lettere dei nostri lettori", indirizzando a Giorgiogiorgio e formulando la solita domanda: "Perché anche non…tutta la menzogna?" Era il segnale convenuto. Si sarebbero ritrovati al solito Cinema d'Essai della città vicina. Inimmaginabile che alla proiezione pomeridiana d'un giorno qualunque, d'un film inguardabile, ci fossero stati occhi e soprattutto orecchie indiscrete che avrebbero tradito quegli incontri clandestini. Quel mercoledì proiettavano "Destini convergenti" del grande regista iraniano Bassiri Janezhir. Nella sala erano solo loro due e al botteghino, la cassiera gli aveva rivolto uno sguardo malizioso.

In treno Se un attento osservatore avesse percorso la tratta Ferillo - Petruggia, nello stesso scompartimento dove due frati, uno piccolo e l'altro grosso, confabulavano sommessamente, avrebbe notato almeno due incongruenze: la prima che entrambi indossavano la tonaca dei frati francescani "conventuali" e quindi fuori dal convento non potevano trovarsi, la seconda che la cartella di pelle che giaceva sulle ginocchia del confratello più robusto, si addiceva più ad un dirigente d'industria che non ad un sant'uomo abituato al sacco di juta. Lo scompartimento era occupato soltanto dai congiuranti e non correvano rischi di alcun genere. In men che non si dica, lo scompartimento d'un treno lento e sonnacchioso si trasformò nella fucina dei cervelli di Wall Street. Bilanci, relazioni semestrali, budget, tanti piccoli grattacieli che rappresentano la grafica delle statistiche…carta…carta, carta. Il sedile vuoto di fronte a Don Peppino Sarago e al suo misterioso confratello era tappezzato di carta come le città dei manifesti pubblicitari con l'unica differenza che questi durano dal tramonto all'alba, quelli avrebbero cambiato la storia, quella piccola, d'una Comunità. Il prossimo arrivo del controllore, preannunciato dal classico: "Signori biglietti!", affannò i nostri due amici nel riavvolgere e nascondere tutti quegli "scritti" e certamente qualche istogramma si perse tra i sedili, ma le idee erano chiare e il piano di battaglia pronto, rimaneva soltanto metterlo in atto e qui stava il "quibus".

Un prevedibile abbandono In un gelido pomeriggio grigio e ventoso, le "leggendarie" bandiere della Poltroni garrivano al vento: la "ciurma" confusa e distratta, faceva "ammuina", gli "ufficiali", schierati, nel grigio ferale degli abiti sartoriali e nei volti, lo sguardo perso nel vuoto, il cervello prosaicamente al portafoglio pieno, il cuore, al solito, vuoto, attendevano il momento: Enrico Poltroni, ex in tutto, presidente e proprietario, dalla mille battaglie, vere o presunte, vinte e perdute, partiva per non far più ritorno, aveva perso la Guerra. Nel mesto incedere verso l'auto che l'attendeva davanti l'ingresso ufficiale, gettò appena uno sguardo ai Dirigenti traditori, lo confortavano soltanto i due occhi pieni di lacrime che celati da una spessa tenda lo guardavano dall'alto degli uffici, curvo e invecchiato, sollevò la testa appena un attimo sapendo che nulla sarebbe più stato come prima. Altri occhi seguivano l'evento dall'alto. Occhi di piombo, simili a quelli dello squalo, con quell'inespressività terribile del vuoto e del nulla: l'Amministratore Delegato, il Duce, vide chiudersi la portiera e partire l'auto e con essa il suo nemico, una luce sinistra irradiò il suo volto, la bocca atteggiò un ghigno cattivo, la mano sollevò un bicchiere d'acqua minerale: "Prosit!" Enrico, madido di sudore, saltò sul letto: "Perbacco! No, questo no!" La moglie preoccupata lo guardava, era stata svegliata da quell'urlo terribile e per un attimo aveva temuto il peggio. "Enrico, perché ti ostini a guerreggiare. Ormai è tempo che tu ti riposi. Non abbiamo preoccupazioni finanziarie e potremmo fare un bel viaggio. Io e te, solo noi due e ritrovare quella sintonia nei nostri rapporti che ultimamente è mancata." "Proprio questo non voglio" pensò Enrico, ma la bocca recitò: "Hai ragione cara, mollo tutto, ora basta". Dopo la riunione del giorno precedente aveva maturato la decisione, ma non sarebbe uscito con la fanfara che intonava il "de profundis", meglio il silenzio d'ordinanza. Prima di uscire però…E si aveva un regalino per l'Amministratore. Certe cose divulgate non fanno piacere…"Vedremo…vedremo", aveva ancora qualche dente in bocca e qualche amico in America che poteva "curare" il duro Isaac, dette uno sguardo alla consorte già riaddormentatasi, tirò un sospiro girandosi dall'altra parte e immaginò qualcun'altra…il sonno tornò lieve.

In redazione Le dita ticchettavano rapide sui tasti del computer, Giorgiogiorgio aveva fretta di terminare l'articolo per inserirlo nel numero della "Verità" che sarebbe uscito al mattino. Lo scoop era troppo importante per non profittarne. La bomba sarebbe esplosa ed il boato si sarebbe udito in tutta la regione. La città sarebbe insorta e lui come sempre in prima linea, avrebbe seguito l'evento, raggranellando qualche moneta sonante per tacitare i creditori. E si, il gioco. Il gioco maledetto che gli aveva minato l'esistenza. Quel mostro senza volto che l'attirava inesorabilmente ad ogni tintinnar di denaro. "Meglio non pensare" si disse Giorgiogiorgio, tornando al testo quasi completo. Alle sue spalle, all'improvviso, avvertì la presenza autorevole del Signor Direttore, l'Orazio Montarbelli, famoso giornalista ed editorialista spietato. "A che punto siamo Giorgiogiorgio?" "Quasi terminato Direttore." "C'è materiale da querela?" Giorgiogiorgio sapeva che se non ci fosse stato, difficilmente il Direttore lo avrebbe pubblicato. "Questo è poco, ma sicuro, Direttore. Ma non solo per una querela, per la richiesta di un risarcimento miliardario!" "Vedremo…vedremo. Tu dacci dentro poi vedremo se quei signori avranno il coraggio di sfidarmi." "Stia tranquillo Direttore…ecco ho finito, manca il titolo." L'Orazio lo guardò e porse la mano dalle dita lunghissime. Giorgiogiorgio sapeva che il titolo era una prerogativa che il Direttore si era arrogata. Stampò l'articolo e come uno scolaretto, lo porse al Signor Montarbelli, attendendo il suo giudizio e il titolo. Il Direttore lesse con calma. Terminato che l'ebbe, guardò Giorgiogiorgio e come in trance sentenziò: "La Poltroni in fiamme!" "Questo è il titolo" disse con un ghigno. "Portalo in tipografia!" Giorgiogiorgio prese i fogli e corse verso la porta…"Hem, hem…" era il Direttore, il giornalista si volse, "Complimenti, bel lavoro, il caso è tuo". "Grazie Direttore" e Giorgiogiorgio si precipitò per le scale col cuore in tumulto.

Rabbia e sgomento La città lo apprese dalle locandine dell'edicola. Il parroco ne parlò durante l'omelia della messa delle 11, condannando il capitalismo selvaggio che portava, come il comunismo, all'abbrutimento dell'uomo e alla perdita dello spirito cristiano di fratellanza. Capannelli di cittadini gesticolanti si formarono nella piazza della cittadina. C'era chi voleva passare subito alle vie di fatto e chi raccomandava prudenza. Dalle finestre chiuse della sede del sindacato s'udivano urla, seggiole e tavoli ribaltati, vetri infranti. Ci fu il tentativo di aggressione ai danni del Sig. Oreste, dirigente della Poltroni in pensione, che certo non se l'aspettava, ma i dirigenti in servizio si erano tappati in casa e non c'era verso di stanarli; qualcuno addirittura s'era rinchiuso nel bagno e non era valso l'intervento dei figli per indurlo ad aprire la porta e consumare il pasto domenicale. Nel pomeriggio, durante l'incontro di calcio, al goal messo a segno dalla compagine avversaria, bastò un cartello sollevato dalla tifoseria con la scritta "Per vincere, rigiocatela da soli domani pomeriggio, tanto il tempo non vi manca: DISOCCUPATI!!!", per scatenare un putiferio che le forze dell'ordine stentarono a sedare. Il Sindaco aveva convocato il Consiglio Comunale d'urgenza, l'opposizione aguzzava le armi, era la volta buona per ribaltare il potere "rosso". Gongolavano soltanto l'Eugenio e quelli della "Verità" con Giorgiogiorgio che si preparava a scendere nell'agone e il Signor Direttore pronto per un'altra delle sue battaglie civili. In città dove abitava, l'Amministratore Dux Delegato, si alzò tardi come tutte le domeniche e con calma, dopo colazione, si apprestò a sfogliare i giornali del mattino iniziando dai più importanti nazionali per passare poi a quelli locali. La signorina Carla, sua appassionata amante del momento, era in bagno per il maquillage quando sentì il rumore prodotto da una tazzina da caffè "Vedgwood", pura porcellana inglese, scagliata sul muro. Quando accorse sul luogo del misfatto, trovò i giornali gettati in terra a fare da tappeto al Dux che sacramentando, col telefono in mano e l'orologio al polso, conteggiava la differenza d'orario tra l'Italia e New York per capire se era il momento per l'imprescindibile chiamata. Dopo un attimo d'incertezza, decise di correre il rischio, avrebbe tirato giù dal letto quel "panzone" a costo di rimetterci il posto. La domenica in campagna ha i "ritmi lenti del maestro Gambara", celebre compositore, ed Enrico era solito sorbire il caffè nel patio della sua villa, sdraiato sulla poltrona preferita, con i suoi cani intorno, scodinzolanti e sfogliare le riviste di nautica e golf. Soltanto gli strani segnali lanciati dal servitore cinese, lo indussero a chiedere irritato e malvolentieri spiegazioni. "Accidenti" pensò "a quando non assunsi quel filippino muto!", senza ricordare che costava circa il doppio dell'altro. "Signole…" disse titubante il cameriere. "Cosa c'è di così importante Mao-tse Tung? I giapponesi sono arrivati a Pechino?" "Signole!!!" "E dagli…" "La Poltroni ha preso fuoco!!!" "Cooosa!!!" "Si Signole c'è sul giolnale." Enrico barcollando fece i pochi metri che lo separavano dal porta riviste di bambù ed incredulo afferrò quei fogli maledetti, dall'emozione il cuore gli usciva dalla gola e le dita tremanti non riuscivano ad aprire quei maledetti… si ecco, dunque "Il Consiglio di Amministrazione della Società Poltroni presieduto dal Signor Enrico Poltroni ha deliberato…" un velo nero gli annebbiò la vista, si sarebbe risvegliato dopo un'ora, disteso nel letto con la trepidante mogliettina al suo fianco ed il medico amico che lo guardava con un sorrisetto sarcastico stampato sotto quei suoi i baffetti all'inglese. Era un sorriso che solitamente utilizzava per i malati terminali. Don Peppino Sarago era normalmente mattiniero. A letto tardi la sera, risveglio precoce al mattino: questi nostri fantasmi! Per fortuna il suo hobby per gli scacchi lo aiutava a vincere la noia per l'inattività. Rigiocava da solo tutti i grandi match fra campioni ed anche lì trovava il modo di vincere…sempre. Leggeva soltanto le riviste specializzate nel gioco degli scacchi, intercalando ad ogni pagina il suo proverbiale: "Stronzate!" Lo stesso epiteto usò per l'articolo della "Verità" portatogli dalla moglie trepidante; lui non credeva a quello che scrivevano i giornali, erano tutte "stronzate". Il suo scetticismo era cosmico, figurarsi se un articoletto d'un giornaletto da strapazzo gli avrebbe provocato cattivo sangue. Piuttosto, pensò, chissà come l'avranno presa i Poltroni? La preoccupazione l'ebbe però per Luigi che in quel clima arroventato avrebbe dovuto mettere in pratica il piano concordato, ma fu questione d'un attimo e assicuratosi con uno sguardo che quella "pazza" di sua moglie, era intenta a potare le rose in giardino, tornò a concentrarsi sul cavallo nero in campo bianco. Luigi non aveva tempo di leggere il giornale, dismesso il saio da frate che con grande fastidio fisico e ideologico aveva dovuto indossare, s'era immerso nel piano politico- finanziario che era alla base del golpe preparato con Don Peppino.

Giorno di Consiglio I Poltroni in terra se ne fregarono della "cura dimagrante" che sarebbe stata imposta all'Azienda, qualcun altro avrebbe fatto il lavoro "sporco", poi sarebbero rientrati loro come salvatori della patria. Laggiù nell'Ade era in corso un rito finanzial-satanico quando irruppe il Signor Parsicotti che in punta di piedi, nonostante il quintale abbondante di peso, urlò a squarciagola: "Signori Poltroni, diablogramma!" Lui che era stato per tutta la vita loro autista e per riconoscenza li aveva seguiti nell'ultimo viaggio, doveva permettersi quell'annuncio, se ne fregava dell'irsuto Padrone del luogo. I Poltroni si guardarono in faccia e come sempre fu Aleandro ad incamminarsi verso l'ufficio postale. Gli altri trepidarono nell'attesa che durò il tempo che durò, non essendoci in quel luogo una misura precisa del tempo. E già, a cosa servirebbe? Aleandro, con il volto tetro, lo sguardo fisso, riprese in silenzio il suo posto. Passò un po' di tempo (quanto? Boh! Vedi sopra). I Poltroni si guardarono tra loro, poi guardarono lui. Passò altro tempo. Il Signor Pietro prese coraggio ed apostrofò il Signor Aleandro. "Allora?" Il Signor Aleandro lo guardò con quegli occhi "bianchi" e dopo una lunga pausa, emise la sentenza: "La Ditta!" I Signori Poltroni s'interrogarono con lo sguardo e dopo un po' il mite Peppino disse, come rivolgendosi ad un'entità impalpabile, quale realmente erano tutti loro, "La Ditta cosa?" Silenzio…poi Aleandro li guardò uno per uno, occhi negli occhi: "Chiude!" Almeno fino ad oggi, non si può morire due volte e ai Signori Poltroni fu risparmiato il doppio tragitto, ma se con l'evoluzione della specie si fosse potuto, allora questa sarebbe stata la situazione ideale. Così invece s'apprestarono a consultare i Signori Poltroni vivi che a loro volta avrebbero chiesto lumi al Cardinal de Richelieu.

Consiglio di sera Nella cittadina era scoppiato il putiferio e il Signor Sindaco non poteva far finta di nulla… anche se lo avrebbe fatto tanto volentieri. Il Consiglio Comunale fu convocato d'urgenza per la sera successiva l'uscita dell'articolo esplosivo. Nelle tribunette gremite di cittadini spiccava la rappresentanza della Commissione Interna con tanto di gagliardetto e facce truci d'ordinanza; semi nascosto da una colonna, l'Eugenio era, dentro di se, raggiante. Assaporava la gloria, ma non poteva esternare questo sentimento ed aveva assunto un espressione contrita che stonava con il papillon a pois che aveva comunque deciso d'indossare. Luigi era un volto fra i tanti, ma forse l'unico che poteva giocare un ruolo importante nella vicenda, certamente più del Consiglio di tromboni che steccarono per tutta la serata. I melomani presenti nel loggione, fischiarono e spernacchiarono a più non posso. I tanti paroloni non avrebbero portato a nulla, comunque fu deciso dai parrucconi all'unanimità la richiesta d'un incontro coi vertici aziendali ed in quella sede, la richiesta di spiegazioni convincenti, la minaccia di…di…di…come turbinio di tramontana, montò la protesta, volarono gli oggetti più disparati: ombrelli e non pioveva da mesi, un paio di mutande a righe rosso e blu, una bottiglia di mistrà colpì il consigliere Saturnelli alla fronte procurandogli una ferita lacero-contusa che richiese l'intervento del Dottor Picchiotti, i sedili furono divelti e lanciati all'indirizzo del Signor Sindaco che per indole ed allenamento, era rapido nelle "uscite" e se la cavò col solito spavento. Il messo comunale Nario Mia mise in salvo il busto marmoreo del Professor Fofi, primo Sindaco repubblicano della città, la cui espressione severa, seppur fissa, mostrava uno sdegno d'altri tempi.

Preveggenza Quando il Direttore della "Verità" dettava un titolo, i redattori erano certi fosse il parto di una commistione di ragionamento sull'opportunità, fantasia, cultura. Nulla di tutto questo corrispondeva alla realtà. Il Signor Orazio Montarbelli leggeva l'articolo, guardava l'immagine del nonno, valoroso garibaldino, incorniciata in bella mostra nella parete, e…d'incanto gli sgorgava dalle labbra il titolo da stampare in testa all'articolo. Nel caso della Poltroni, così era stato, ma mai e poi mai avrebbe pensato, scegliendo quel titolo, di preconizzare un evento nefasto. Il parroco fu svegliato nella sacrale funzione del sonno, dal sacrestano Emidio il quale a sua volta era stato rudemente scaricato dalle braccia di Morfeo dalla guardia notturna Abbranca che incuriosito, durante il solito giro in bicicletta, dal frenetico sbracciarsi del fornaio sordomuto Adamo, aveva seguito il dimenarsi delle braccia protese verso l'alto ed invece di ammirare una cometa sorvolare lo Stabilimento Poltroni, si accorse con orrore delle alte lingue di fuoco che l'avvolgevano. Il suono a distesa delle campane, suonate dal Emidio autorizzato dal Parroco, fece accorrere un gran numero di cittadini allo Stabilimento, compresi gli appartenenti al Consiglio Comunale, Sindaco in testa e nessuno si sottrasse ai suoi doveri. Le operazioni di spegnimento furono organizzate e coordinate dall'Ingegner Tottini, già Responsabile Tecnico alle Grandi Officine Audaci. All'arrivo dei Vigili del Fuoco la maggior parte dell'incendio era domato o circoscritto. Non restava altro da fare che valutare i danni e stabilire la causa del sinistro. Per quanto riguardava i danni, fortunatamente si rivelarono più apparenti che di sostanziale gravità, l'impianto poté ripartire nel corso della giornata. La sorpresa per non dire sgomento fu la scoperta, senza l'ombra del dubbio, che la causa dell'incendio era dolosa.

Antefatto Quando l'Amministratore Delegato informò telefonicamente, su una linea riservata, il Gran Maestro Isaac, del contenuto dell'articolo pubblicato dalla "Verità" ed il suo titolo, la reazione al di là dell'Oceano fu contenuta. Un gelido silenzio accompagnò una lunga pausa, poi la voce tronitruante del Boss, dettò gli ordini: reperire un esperto professionista del "ramo" e eliminare il problema, "far fuori" l'opificio. Poi valutare le reazioni e procedere senza timori al congedo delle maestranze. La questione aveva bisogno di un'accelerazione, se altri giocavano a fare i duri avrebbero trovato denti da squalo pronti ad azzannarli. Però… trovare un insospettabile professionista fuori regione, che non lasciasse tracce, altrimenti avrebbe inviato Lui qualcuno da New York. Il Dux si affrettò a rassicurare il suo Padrone che avrebbe provveduto lui alla bisogna ed il collegamento fu chiuso. Il nostro Dirigente maximo che si chiamava Matteo De Crescenzo, nato a Napoli e formatosi a Milano, alla scuola dei grandi manager del Nord, nelle decisioni da prendere seguiva la voce del cuore ed anche in questo caso, fece di testa sua. L'ingente esborso che l'operazione fraudolenta richiedeva, sarebbe stata ascritta ad un professionista di Roma, in pratica un suo cugino operante nel "settore", a prezzi ragionevoli e la sostanziosa differenza di prezzo, sarebbe stata la "cresta" per se. Così aveva sempre impostato le cose ed il suo conto in banca ne aveva tratto giovamento. Don Ciccillo Sacco, aveva servito la Patria nel genio guastatori e in gioventù era stato capace di farsi allontanare, con infamia, dall'esercito dopo aver fatto saltare in aria un ponte quando ancora, l'ufficiale che doveva dare il segnale era col braccio alzato. Conseguenze: 4 carrarmati "Leopard" con l'equipaggio e la bandiera, a bagno nel fiume Tagliamento. Prima d'abbandonare la caserma Don Ciccillo, aveva pensato bene di svuotare la cassa del Reggimento, a puro titolo di risarcimento. Due anni di carcere militare a Peschiera Borromeo, la pena scontata. Il seguito della sua vita fu tutto un "tabarin", costellato di frequenti visite in "collegio" conseguenza di altrettanti colpi andati male. Però era nel "ramo" e questo bastava a De Crescenzo per deciderne l'utilizzo, del resto non aveva altri parenti così qualificati. Don Ciccillo Sacco metteva sempre tutte le attenzioni dovute nei "lavoretti" commissionatigli, ma era un uomo sfortunato, forse per questo a differenza del napoletano classico, aveva sempre un espressione piovorna stampata sulla faccia. Nel nostro racconto, tutto era stato ben studiato e predisposto affinché l'incendio risultasse provocato da incuria del personale interno, se non che quello stupido vizio, quell'irrinunciabile cattiva abitudine che l'avrebbe portato alla tomba, quel suo fumare continuamente sigarette "esportazioni extra" senza filtro, l'aveva tradito. Del resto non poteva permettersi marche più costose, epperò il luogo dove aveva predisposto il focolaio di partenza dell'incendio era uno stabile, il pastificio dove la legge vieta di fumare e tanto di cartelli erano appesi ai muri. Ma voi volete che un professionista nell'espletamento d'un lavoro così difficile e pericoloso, con mille pensieri in testa, si metta a leggere i cartelli…eeeeh! "Mo' ce mettimmo a liggiere 'u giurnale!!!" Però, ventotto mozziconi della stessa marca di sigarette, tutte nello stesso punto, da dove s'era sviluppato l'incendio, fecero propendere i tecnici per l'azione dolosa.

Nell'alba gelida e grigia… Il corpo fu ritrovato da un cacciatore nel mezzo della campagna all'alba. Non presentava segni di particolari violenze o maltrattamenti. La morte risaliva a poche ore prima, sicuramente nella notte ed era stata causata da un unico colpo esploso da un revolver di piccolo calibro che aveva centrato la fronte e provocato la morte istantanea. L'uomo vestiva un costoso cappotto di cammello di foggia sartoriale, calzava scarpe color cognac, fatte manualmente e nonostante la pioggia della notte precedente, linde come non fossero mai uscite di casa. Era chiaro che o l'assassinio si era consumato altrove oppure l'uomo aveva camminato scalzo per non sporcarle. Gli inquirenti ritennero più attendibile la prima ipotesi. Occorsero alcune ore prima del riconoscimento anche per l'assenza di qualsiasi documento d'identificazione. Verso il mezzodì, tale Franco Sinalunga, operaio della Ditta Poltroni, rientrando in bicicletta dal lavoro, fu incuriosito da quel capannello di poliziotti ed avvicinatosi riuscì a cogliere l'attimo nel quale il corpo scoperto dalla sacca telata dove era stato avvolto, veniva caricato sul carro dell'impresa di pompe funebri. "Ma…ma…è…De Crescenzo!" Lo sguardo degli astanti si rivolsero verso l'operaio. Il poliziotto con l'impermeabile bianco che sembrava essere il capo, si avvicinò al Sinalunga: "Diceva?" "Quello lì, quel corpo insomma, è del Dottor De Crescenzo!" "E chi sarebbe questo dottor De Crescenzo? Il medico dell'ospedale?" La "squadra" veniva dalla città e non poteva conoscere il personaggio. "Ma vuole scherzare?" replicò il Sinalunga che considerava la Spettabile Ditta l'ombelico del mondo e non si rendeva conto del grado di suscettibilità dei poliziotti. "Senta ometto" sibilò il vice -prefetto Chiattone, "o si spiega bene o andiamo alla questura dove la piego per benino io." "Scusi Dottore" il Sinalunga aveva capito! "Volevo dire che quel signore, cioè il morto, è l'Amministratore Delegato della Spettabile Ditta Poltroni." "Aaaahhh! E poteva dirlo subbito. Non ci faccia perder tempo." "Cucullo!? Cucullo! Vai subito alla caserma della cittadina e chiedi del maresciallo, digli che tra poco arriviamo. Ci preannunci alla Spettabbile Ditta come ha detto l'omino."

Vendetta…tremenda vendetta Il jumbo della Pan-Air, proveniente da New York, atterrò a Roma alle 12,45. Alle 15 una Mercedes nera, varcò il cancello della Poltroni col suo ingombrante passeggero. Alle 16, Isaac Singer, aveva preso direttamente il comando dell'azienda. Il mattino dopo iniziarono i colloqui con i Dirigenti. La fuga di notizie, alla base di tutti gli avvenimenti susseguitisi era partita da dentro l'azienda e il Gran Maestro era intenzionato a scoprirne l'autore…a tutti i costi. Eugenio, aveva passato una notte agitata, qualcosa gli diceva che sarebbe andata a finire male. Nel pomeriggio, all'arrivo dell'azionista di maggioranza, circolavano negli uffici, voci di inchieste e linciaggi, chi non aveva la coscienza a posto non poteva non temere. Eppoi lui, dopo l'uscita dell'articolo incriminato, come tutti coloro che per tutta la vita hanno sognato di diventare protagonisti e non ci sono riusciti, al primo successo, sentiva la necessità di confidarsi con qualcuno. Chi meglio della bella Eleonora, curvilinea collega d'ufficio, poteva fungere da testimone plaudente all'impresa del "prode" Eugenio? Ma ora se ne rammaricava. E se Eleonora avesse parlato? Il bruto Isaac lo terrorizzava, aveva sognato che infilzatolo col forcone, l'ingurgitava nell'immensa bocca. Quella mattina, Eugenio si dette malato e complice il medico, inviò un certificato per "depressione da stress": 15 giorni a casa. Sperava ardentemente che bastassero a far passare la tempesta che stava per scatenarsi. Isaac arrivò rapidamente a lui; per meglio dire arrivò alla conclusione che due erano i sospetti: il linguacciuto Eugenio e Enrico Poltroni, presente e dissenziente alla famosa video conferenza. Eugenio fu convocato in azienda, ma forte del certificato medico, non si presentò. Enrico Poltroni si fece beffe della convocazione, lui non era il burattino di nessuno e neanche alla villa avrebbe ammesso la presenza di quell'orso malefico. Isaac prese atto delle defezioni ed agì all'americana. Per la Rubrica "Tutta la Verità": Lettere dei nostri lettori", arrivò alla redazione della "Verità" un telegramma indirizzato a Giorgiogiorgio con la frase: "Perché anche non…tutta la menzogna?" Era il segnale agognato, qualche squarcio di luce sul delitto di Matteo De Crescenzo, un altro scoop da mettere nel carniere. Giorgiogiorgio avvertì il Direttore che però questa volta fu irremovibile: o andiamo insieme o nessuno dei due. Provò Giorgiogiorgio, tentò in tutte le maniere a far recedere il Signor Orazio Montarbelli. Disse che avrebbero perso un informatore prezioso, la notizia dell'anno…il Premio Pulitzer. Ma non ci fu nulla da fare, il Direttore fu irremovibile ed il caporale s'arrese al Signor Generale. Alla solita ora, al solito posto, nell'auto del giornale, inghiottita da una spessa coltre di nebbia, i due giornalisti aspettavano di veder entrare l'Eugenio al cinema Esperanto, per poi seguirlo all'interno. Quel pomeriggio proiettavano "Cancelli sul mare", film degli anni '50, del regista Vittorio Stondelli, campione del neo-realismo italiano. A giudicare dall'affluenza di pubblico, non troppo amato dagli appassionati di quell'arte che il Signor Orazio disprezzava. Lui era un entusiasta della "Rivista" e la sera frequentava un club dove formose giovanotte davano il meglio di loro stesse per il godimento degli attempati clienti. Finalmente dal nulla sbucò Eugenio che con passo incerto ed aria furtiva, s'arrestò appena un attimo sulla soglia della porta d'ingresso, si guardò intorno, gettò il mozzicone di sigaretta ed entrò. I due giornalisti scesero dalla piccola utilitaria e fecero altrettanto. Presi dalla foga del momento, non notarono, alle loro spalle un signore distinto in "gessato" marrone e feltro in tinta che staccò un biglietto al botteghino e si piazzò tre file dietro di loro che s'erano affiancati all'Eugenio. Quando Montarbelli si sedette, notò che il loro confidente cercava concitatamente di comunicare qualcosa a Giorgiogiorgio, ma il suo sguardo fu attratto per un attimo, dallo schermo dove un'immagine in bianco e nero di una bella ragazza vestita a lutto, uccideva con un colpo di pistola un tizio, nella strada principale d'un paesino, presumibilmente della Sicilia. Fu anche il suo "ultimo attimo". Il suo, di Giorgiogiorgio e del povero Eugenio, costretto a "guidare" il killer sull'usta delle vittime. Enrico Poltroni era un uomo preciso, la domenica mattina, alle 10 in punto, sistemate le mazze da golf nel porta bagaglio della sua Mercedes, partiva alla volta dei campi di S.Sistina dove l'attendeva uno dei suoi amici, l'industriale a riposo Alfonso Mignetti. Anche quella domenica, salutato il giardiniere che potava le rose della signora, caricò i ferri del divertimento nell'auto. Mentre si apprestava a mettere in moto s'avvide dell'auto. "Perbacco!" La conosceva bene, molto bene. "Cosa stava a fare li?" Scese rapidamente dalla Mercedes, guardò preoccupato le finestre della villa, ma non vide nessuno. S'affrettò a piedi per il viale lungo mezzo miglio, fino al cancello, lo varcò e s'accucciò all'altezza del finestrino aperto della vettura ferma. "Cosa succede cara?" La giovane aveva un'aria spaurita ed una brutta cera. "Enrico, c'è stato un duplice delitto in città." Proprio in quel momento un boato ammorbò l'aria che spostandosi violentemente gettò Enrico nel fossato e l'auto della ragazza all'indietro per cento metri. Era successo che Giovanni il giardiniere, dovendo passare col furgoncino sul viale occupato dal Mercedes del Signor Enrico, aveva pensato bene di spostarlo. L'esplosione era stata causata dal mezzo giro della chiave sul quadro dell'auto. Giovanni il giardiniere s'era sacrificato involontariamente per il suo padrone. A "Villa Marina" non avrebbero più potuto esporre il trofeo annuale che premiava la più bella rosa del Comprensorio. Alle 12 in punto del lunedì successivo, dall'aeroporto Michelangelo della Capitale, col volo A710Y dell'Alitalia su un Boeing con destinazione New York, s'imbarcarono 257 passeggeri e due assassini. Isaac Singer s'accomodò nella confortevole poltrona della business class, un signore distinto in "gessato" marrone e feltro in tinta si rannicchiò in una delle cinque poltroncine della classe turistica. Committente ed esecutore si lasciavano alle spalle un paese sgomento, morti innocenti e rabbie sopite che avrebbero generato inevitabile vendetta: sangue chiama sangue! Di fronte allo scenario di una cittadina inerme e Autorità inette, con la Spettabile Ditta minacciata di chiusura, scoccò per Enrico Poltroni l'ora della responsabilità e non restò altro da fare che percorrere la strada della riconciliazione coi consanguinei. Anche se questo passo gli pesava non poco, cedette all'interesse superiore e prese contatto con chi sapeva avrebbe capito ed approvato, ma prima doveva regolare un conto…aveva ancora qualche amico in America che…

America, America…brrr! Da "Coyle", incrocio del Sunset con la 44ª. E' l'ora dell'aperitivo serale. Al banco si affollano gli impiegati e gli avvocati appena usciti dal lavoro. Nella saletta "riservata" con vista sul Boulervard, ci sono cinque persone. Daddy e Sion discutono di filosofia applicata. Peter sorseggia tranquillo e distaccato una "Bud". Em tira dalla cannuccia pieghevole la sua Coca-Cola, è assente, solo la continua ascesa-discesa del liquido scuro, testimonia l'anelito vitale. Maurice tossisce in continuazione eruttando il fumo della sigaretta dalle narici, poi d'impeto raccoglie le forze, apre la finestra e scaracchia fuori nella strada. Una bestemmia e torna a fumare. Daddy: "…non insistere, era bruna e cantava al Raffles. aveva occhi solo per me!" Sion: "Daddy, sei bevuto! Era bionda e portava il perizoma nero, traspariva dall'abito bianco. In quanto al fatto che guardasse solo te…mi viene da ridere." Peter: "Sal!" Daddy: "L'hai vista Gilda, la bomba atomica, quando cantava 'A Modo Mio' per Glen Ford? Sion: "…ma che c'entra? Sei proprio suonato. Sei suonato Daddy! Che c'entra Gilda…la bomba…Glen Ford?" Peter: "Saal…!" Em, come risvegliandosi dopo 20 anni di coma profondo, pensa "Senti quei due fessi che cazzo di problemi…" Daddy: "Non capisce neanche di cinema, volevo farti un'analogia tra la mia situazione con la bruna dell'altra sera e la rossa del film." Maurice (stufo e annoiato): "Ragazzi…che cazzo! Parlate di Basket che è meglio. Se ve la fanno vedere…svenite tutti e due. Io mi scopo la tabaccaia della Central Station, quella dopo l'ingresso. Sembra di fottersi Sharon Stone, tanto sono uguali e fumo gratis." Daddy: "Guarda che tu fumi anche senza tabacco, non so se mi spiego!" Sion (sibilante): "Stronzo…" Peter: "…E smettetela! Sal! Perdio, sei sordo?" Dal vocio della sala grande, sbuca Sal Coyle. E' enorme, ha le maniche della camicia arrotolate sugli avanbracci e il sinale legato sui fianchi bagnato dall'acqua di risciacquo dei bicchieri. Sorride divertito. Sal sorride sempre. Peter: "Sal, porta bourbon e aggiungi un bicchiere per te." Quando parla Peter, gli altri tacciono, solo Em non ha bisogno di sforzarsi. Tace sempre e ovunque: è troppo impegnato a ragionare con se stesso. Dalla strada due ragazzi in bicicletta da corsa e caschetto, guardano incuriositi i personaggi all'interno della saletta. Peter fa un cenno con la testa a Maurice che si volta, lui e Daddy danno le spalle alla vetrata. Vede i due e li fissa incazzato. Non avendo ottenuto il risultato che s'era prefisso, apre la finestra e gli scaracchia addosso. I due si allontanano sacramentando. Sal è di ritorno e chiude la porta alle sue spalle. Adesso s'odono soltanto i rumori provenienti dalla strada. Ha in mano una bottiglia di "Harper's Bourbon" e un bicchiere, sul volto il solito sorriso del cazzo. Peter: "Siediti Sal e racconta anche a loro la storia." Sion, Daddy e Maurice concentrano l'attenzione su Sal, Em un po' meno. Sal: "George Washington dopo averle date di santa ragione a quei puzzalnaso degli inglesi a Princeton, fondò gli Stati Uniti d'America che danno da mangiare a dei fannulloni come voi." Peter (spazientito divertito): "Non fare il pagliaccio, vai…seriamente." Sal: "Beh! Non si può scherzare più qui? Vi farò il solletico sotto i piedi quando state prendendo la mira per centrare in mezzo alle gambe la vostra puttanella." Peter: "Sal!" Sal: "Va bene…va bene…" "Allora…i ragazzi lo sanno che non devono far bere Akom. E' uno scagnozzo di Isaac. Mi sembra che fosse…giovedì. Sì giovedì, che ha partorito l'amante di Joseph e il marito di lei era inquieto perché Joseph era di turno qui in cucina e non poteva assistere all'evento. Dicevo…Akom era sbronzo come un tricheco femmina al matrimonio del figlio, giù all'acquario comunale…" Per riflesso condizionato, i quattro oltre a ridere delle battute di Sal, riempiono i bicchieri per un altro giro. Em no. Peter (dopo aver bevuto, ricaricata la pazienza e pulita educatamente la boccuccia col fazzoletto del taschino): "Sal, muoviti." Sal, scola in un colpo solo il "cubetto" di bourbon: "Come dicono gl'Irlandesi 'un buon thé mette a posto ogni dolore' " guarda nella direzione di Peter e si fa serio. "Dicevo che Akom straparla: 'una di queste sere andiamo a fare un bel fuoco coi ragazzi'. 'Ma come', gli fa Elly, una delle troie del Driscow, 'con questo caldo?' 'Si', fa lui, 'ma si surriscalderanno quegli stronzi di Saint Thomas, bellezza' e gli pizzica il culo. Lei neanche lo sente…il pizzicotto volevo dire. Io addrizzo le orecchie. John John, il negro che tengo alla catena in cucina, s'affaccia preoccupato e gli fa 'Ci abita mia sorella a Saint Thomas, non è che…' Akom lo guarda con quei suoi occhi da pesce bollito di cinque giorni e quasi schifandosi di rispondergli: 'Scemo, secondo te perdiamo il tempo ad abbrustolire voi negri? Per quello c'è pronto Satana. Andiamo dagli Agency!'" Nella saletta, l'unico rumore è quello provocato da un moscerino che si fotte una moscerina e lei nell'estasi sospira. Millecinquantotto, millecinquantanove, millesessanta. Dopo un minuto esatto, Sal: "Questo è tutto". Per una volta non si sente di far battute. Peter ingolla il suo terzo "doppio", posa con calma il bicchiere sul tavolo, fissa le pupille di tutti e rivolto a Sal: "Per quando è previsto?" Sal: "Questo non l'ha precisato, Peter." Peter: "O.K. Sal, grazie. Porta un'altra bottiglia e dei sandwich." Sal si alza a fatica, la sua "recita" è finita senza applausi, arpiona la bottiglia vuota ed esce di scena. Peter: "Ragazzi questa viene a proposito." Daddy: "In che senso Peter?" Peter: "Un amico italiano dell'Italia, non di qui, mi ha chiesto un piacere che non posso e non voglio rifiutargli." Sion: "Sarebbe?" Si sente toc-toc alla porta. Peter: "Avanti Sal." Sal entra coi sandwich e la bottiglia, volta le spalle e va. Peter con calma arraffa un panino e lo smangiucchia attento a non sbriciolare il tavolo, Maurice stappa la bottiglia e versa per tutti meno Em. Peter beve, guarda Sion negli occhi: "Fuori dai cojoni Isaac…per sempre!" Em: "Quando?"

Al lavoro L'occhio attento della piccola Simon aveva colto il particolare: la camicia di Em era bagnata solo sotto l'ascella destra, la sinistra era evidentemente asciutta, la manica da quella parte era linda. Le goccioline di sudore che gli imperlavano anche la fronte, avevano provocato questo strano fenomeno chimico. Il caldo all'esterno dell'ufficio era feroce, ma secondo il rapido ragionamento della ragazza, solo il nervosismo spiegava, in un ambiente condizionato, gli effetti della situazione esterna nel bel fisico atletico del collega. Mentre riempiva le schede dei clienti per gli appuntamenti della giornata, Em pensava che la sua vita era un bel rebus e la paragonava ad una bottiglia di Harper's Bourbon dopo che te ne sei scolata una metà: ebbra infelicità per quello che manca, fervida aspettativa per ciò che resta. Nell'ufficio le pale ruotanti del vecchio ventilatore al soffitto, scandivano il tempo di quella torrida giornata di agosto. Nessuno degli agenti era in vacanza. Peter era rinchiuso nel suo piccolo ufficio privato, mentre Sion, suo fratello, era relegato con gli altri quattro, nello stanzone comune, nonostante fosse comproprietario della "baracca". Daddy sibilava le sue sentenze dall'alto dell'imponente scrivania di un vecchio notaio moroso, pegno di un credito ormai inesigibile; il suo proprietario era entrato come bottino nel "sacco" dei ladri, ma, ritenuto oggetto senza valore, eliminato. Per lui, poveraccio, la gioia di non dover far più fronte ai propri debiti era inficiata dal non poterne più contrarre. Maurice consultava il carnet per la notte: Lisa al Moon alle 11, il tempo di struffarla ed ecco a mezzanotte la camera prenotata al Castle per Mistret: seni, culo, cosce…solo da cogliere e succhiare, ma alle 2 c'era l'uscita dal locale per "fine lavori" di Sandy, e no! A Sandy non si poteva dir di no. Per sua fortuna fu interrotto dall'ingresso nella stanza di Peter che per l'argomentazione, mise fine al suo rompicapo. La serata era destinata al lavoro, molto più rilassante che tener dietro a tutte quelle donne eccitate.

L'attentato Fernando lo zingaro comanda gli artificieri, non è quella la prima volta: aveva fatto saltare i grandi magazzini "Pump" e squarciato i cinque piani in cemento e cristallo della "Continental Insurance". Era un professionista di quel lavoro. Aveva iniziato col far esplodere i carro armati Leopard, durante la guerra, infilando una bottiglia molotov all'interno della torretta, con grande rischio per la propria vita. Rischio del quale non era mai stato cosciente. Dopo la preparazione tecnica dell'ordigno, era uso contare fino a dieci, poi portava il pollice alla bocca ed effettuava un rapido movimento dell'avambraccio come a voler strappare l'unghia e …bum! Cenere e rovine. Questa sera, la copertura è totale: almeno dieci uomini armati posizionati strategicamente intorno al palazzo. "Fate piano…silenzio!" Fernando guida i sei uomini che si avvicinano al retro del fabbricato di Saint Thomas. Armeggiano intorno ad una scatola che potrebbe essere di colore nero. E' notte profonda e senza luna. Tutto tace. La "squadraccia" ora si trasferisce nella parte anteriore che da sulla strada e dove è posto l'ingresso principale. A piano terra le finestre dell'ufficio sono ancora illuminate, s'intravedono le sagome di tre uomini. Gli attentatori non li conoscono, sono Peter, Sion e Em, seduti, innaturalmente immobili, alle loro scrivanie. Fernando li guarda, sorride, i suoi sensi avvertono in anticipo il gusto acre della cordite mista al sangue. Comincia la conta: milleuno…milledue… Tutto il gruppo raggiunge posizioni di sicurezza. Millenove…milledieci! Fernando porta il pollice alla bocca e… La deflagrazione genera l'implosione del palazzo; questa è la firma d'autore di mastro Fernando: l'edificio cede dall'esterno accartocciandosi su se stesso. I danni per gli altri fabbricati sono limitati ai frantumi dei vetri delle finestre, ma dell'obiettivo dell'azione rimangono solo polvere e detriti. L'Agency non c'è più. Il gruppo di fuoco si ritira in silenzio. La città risvegliata si mette in moto, i rumori son quelli delle emergenze: sirene, ambulanze, pompieri. Fernando da un ultimo sguardo, il rituale è il medesimo, accende una sigaretta, tira una boccata, gli zingari vivono di superstizioni, la getta… il fumo fa male. Svolta l'angolo, c'è la sua auto… "Perdio!" una gomma a terra. Non ha il tempo di sospettare, si china a guardare: "C'è un buco pensa." Il teppista che l'ha aperto sul pneumatico è ora accovacciato in alto col fucile di precisione e ne apre uno identico sulla nuca di Fernando che stramazza bocconi sul selciato. Un'unghia strappata al clan del terrore. Lassù, Maurice, non guarda Fernando, non ce n'è bisogno, fissa il punto dove furono i loro uffici. Non riesce a darsela a gambe: nostalgia, rammarico, rancore? Il piano di Peter prevedeva il sacrificio e sacrificio è stato.

Attacco a Passignal Quei manichini erano costati a Peter un occhio della testa. Un anno prima a Wax City, ne aveva ammirato uno esposto nella vetrina di uno scultore Wosp ed incuriosito era entrato. Quando l'indiano gli aveva detto che era cera lavorata come Michelangelo lavorava il marmo di Carrara, era stato preso da un irrefrenabile entusiasmo e ne aveva commissionati 6, uno per ciascun componente dell'ufficio, lui compreso. Al tempo non sapeva bene il perché di quell'acquisto, ma quelle sculture si erano rivelate provvidenziali nel salvargli la vita e il suo credo negli stregoni indiani e nella loro preveggenza si era fortificato. Intanto mentre le povere sagome venivano stritolate dagli sgherri di Isaac, gli originali, in carne ed ossa, sono in agguato intorno alla villa dello stesso sul lago Tresmen. Infatti, se Isaac non va da Peter, Peter andrà da Isaac, inaspettato. Passignal è un isolotto a forma di pesce, la villa è nell'incavo della V sulla coda, tutto il resto è macchia rognosa, da lì la casa è inespugnabile. L'unica possibilità è dall'acqua. Peter è al timone, Daddy alla mitragliatrice, Sion e Em con i revolver carichi di bei cilindretti pronti allo sbarco. Nella villa sembra tutto tranquillo; è dal mattino che l'osservano da lontano coi binocoli da marina. Ora sono a portata di tiro, Peter accosta con perizia. Daddy apre l'otturatore e con l'occhio centra il mirino sulla battigia. Il sole splende alto nel cielo azzurro, è una rilassante giornata di festa, lo sciacquettio dell'acqua sullo scafo induce ad un sonnellino ristoratore. Ma come puoi dormire se devi iniziare uno spettacolo di fuochi d'artificio ad altezza d'uomo? Peter guarda l'orologio, Isaac è un abitudinario. Eccolo scendere alla spiaggia accompagnato dagli sgherri di complemento, gli altri sapete dove sono. Isaac si spoglia mostrando al mondo quel suo fisico irsuto. Un orso che apre il Wall Street Jornal e accende un avana. Come la tensione si allenta, Peter guarda Daddy e reclina il capo. Una tempesta di fuoco s'abbatte inaspettata sui tapini della spiaggia che hanno giusto il tempo d'indossare le alette e tentare il salto nell'al di là, dove saranno giustamente respinti per una caduta libera agli inferi. Sul motoscafo tutti sparano come forsennati e continuano anche quando a terra non c'è più segno di vita alcuna. E' Peter che urla e ordina l'approdo. I ragazzi prendono terra, la sabbia intorno è rossa, il cielo rimane azzurro. Peter s'avvicina ad Isaac e senza neanche degnarlo d'uno sguardo, gli scarica sei colpi su quella che una volta era una testa, poi sale alla villa, c'è da rendere pan per focaccia. Sion e Em impiegano mezz'ora a minare l'abitazione. Peter: 10 secondi a farla sparire. Tutti s'incamminano con passo tranquillo verso lo scafo, solo Peter prima di risalirvi, volge lo sguardo indietro e pensa: "Ora regoliamo la parte finanziaria".

Intanto di là dell'Oceano… La riunione volgeva al termine, Enrico si era scusato e riabilitato. I Poltroni erano tornati insieme. Erano veramente una bella famiglia, unita e compatta, pronta a riprendere il comando delle operazioni nella Spettabile Ditta. Enrico aveva avuto una comunicazione transoceanica che aveva rallegrato l'ambiente fino ad allora ingrugnito e poco propenso al perdono. Dopo che ebbe riferito le notizie che gli giungevano da "amici" americani, tutto tornò come ai bei tempi. Lui avrebbe saldato il debito contratto con gli "amici degli amici" e la maggioranza azionaria sarebbe tornata nelle salde mani di quei filantropi. Ma…c'era un ma. C'era Don Peppino Sarago e c'era con lui il fido Luigi e con loro una cartella che li aveva accompagnati in quel viaggio in treno durante il quale, travestiti da frati… "La Spettabile Ditta diventerà una Società ad azionariato diffuso…" Tutti i Poltroni guardarono increduli l'ometto; molti non compresero né subito né in seguito, qualcuno mai. Merizio e suo padre Aleandro capirono bene ed alla svelta e s'opposero a tanto scempio. Ma l'ometto l'aveva preannunciato l'arrivo di Lenin in vagone e Luigi era lì per spiegare come si potesse governare un'Azienda moderna dividendo le quote azionarie fra tutti i componenti: operai, impiegati, dirigenti e vecchi padroni; senza che nessuno avesse una maggioranza relativa, ma delegando la gestione a persone capaci che rispondessero agli azionisti nelle Assemblee invece che nelle salette riservate a pochi. "I risultati della vostra gestione l'avete visti! Basta! E' ora di cambiare, ora Luigi vi illustrerà come si dovrà amministrare la vecchia Poltroni SpA da domani Poltroni Ins." (p.s. Insieme) Il tono perentorio non ammetteva repliche salvo la vocina di Enrico: "Ma…i miei soldi?" "Li hai dissipati tu! Con la tua scempiaggine e poi non ti lamentare…hai patrimoni come tutti noi, per dieci generazioni." Dolenti e nolenti, i Poltroni, i "vecchi" e i giovani, i vivi e i morti, parenti per sangue o acquisiti che fossero, si accomodarono intorno al tavolo del refettorio del monastero e Luigi, finalmente senza saio, spiegò per punto e per segno il "comunismo" moderno, non senza qualche soddisfazione lui e brividi lungo la schiena loro. I fraticelli del convento quella notte ebbero in visione S.Francesco sorridente e non riuscirono a capire il perchè.

Perth, Australia Una giovane, bella e bionda, lottava con le onde dell'Oceano. Lentamente guadagnò la riva e si distese stremata sulla sabbia accanto ad un giovane bello ed abbronzato. La coppia si scambiò un lungo tenero bacio. Erano arrivati da una settimana con volo diretto da Roma. Nel bagaglio dell'ex impiegata della Poltroni, gli abiti adeguati per un lungo soggiorno, nel portafoglio il regalo di nozze dell'ex titolare sconsolato, nel calcio del revolver il nome del fu Amministratore della Poltroni. Il suo animo era sereno, il cuore innamorato.

Un giorno veramente speciale Una piazza gremita di cittadini assistette all'inaugurazione del monumento dedicato al Grand'Uomo. Dopo i discorsi di prammatica, il Signor Sindaco, pronunciò le solenni parole: "Per una vita spesa al servizio della Verità…" e con gesto solenne fece cadere il telo che avvolgeva la scultura di marmo scolpita dal celebre artista Menzù. Un Orazio Montarbelli, seduto alla scrivania, con le lunghe dita posate sui tasti della macchina da scrivere, fissava tutti quei convenuti con espressione di riprovazione. Lassù in cielo Giorgiogiorgio guardava schifato la scena sibilando fra i denti: "Puah! I soliti favoritismi!"

21 febbraio 2001 L'autore precisa che il suddetto racconto è parto della sua fantasia e ogni eventuale riferimento a eventi o persone reali è puramente casuale.