Nel 1549 Paolo III muore, al termine di un decennio che lo aveva visto protagonista assoluto nell'ambito delle vicende cittadine. La seconda metà del XVI secolo apre un periodo di grande decadenza per Perugia, passata in breve tempo da libera repubblica ad essere una delle tante città di uno stato più ampio.
Le cronache non riportano che qualche evento marginale, di scarso rilievo politico. In questo evo sembrano più rilevanti le notazioni riguardo lo stato di salute della popolazione. Il nuovo secolo si apre con una feroce pestilenza che coinvolge, oltre Perugia, le città di Milano, Bologna e Firenze, colpite duramente dalla diffusione del morbo. Per quanto possa aver contribuito allo scadimento della qualità della vita, in ogni caso non fu paragonabile con la carestia che seguì il contagio, divampata nel 1648 e causa di rivolte e ribellioni sedate a stento dall'autorità.
Nel clima instauratosi nell'ambiente dominato dall'influenza pontificia, nuova linfa sembrò scorrere fra le fila della nobiltà. Seppure povera di singole personalità carismatiche fu l'istituzione stessa della nobiltà a tentare in ogni modo di riprendere un ruolo più consono alle proprie ambizioni. Le giostre presero il posto delle lotte fra le fazioni, i tornei sostituirono assassini e uccisioni. Gli antagonismi accesi per la conquista della signoria su Perugia cessarono di colpo e i nobili presero l'abitudine di duellare amabilmente, gareggiando spesso per finalità più civili e benemerite.
In mancanza di guerre che consentissero di guadagnare rapidamente onori e gloria, i rampolli affiancarono alle proprie ambizioni la carriera ecclesiastica. Furono molti i vescovi e cardinali perugini che ricoprirono importanti cariche all'interno degli uffici di Roma.
La conseguenza dell'inerzia che dominerà tutto il XVII secolo sarà la continua fuoriuscita di artisti e illustri personalità che nella ricerca di maggior gloria e prestigio saranno costretti a recarsi altrove, tanto da costituire a Roma, per esempio, una specie di colonia. A ciò si aggiungano le vendite e spoliazioni di beni artistici.
I Conventuali di San Francesco al Prato nel 1608 inviarono in dono a Paolo V la Deposizione di Raffaello, mentre le Monache di Sant'Antonio vendettero la Madonna della Reggia nel 1677, sempre di Raffaello. Stessa sorte toccò alla Madonna del Libro. Se a ciò aggiungiamo le razzie francesi della fine del XVIII secolo, il quadro è completo. Nel 1797 la città di Perugia venne spogliata di oltre quaranta opere fra le quali si contavano dipinti del Perugino, del Pinturicchio e di Raffaello, fra l'indifferenza generale. Il clima libertario del periodo consentì difatti di percepire i beni ecclesiastici come roba di cui disfarsi senza troppo danno.
L'arredo urbano in compenso non si arrestò del tutto, dando vita alla costruzione di numerosi palazzi e nuovi edifici. Fra le opere più rilevanti di questo periodo si ricorda la costruzione del Teatro del Pavone, avvenuta nel 1717, il primo vero teatro della città di Perugia voluto fortemente dalla nobiltà perugina.
Per tutta risposta le maggiori famiglie della borghesia si unirono nel 1778 impegnandosi nella costruzione del Teatro Civico del Verzaro, l'attuale Teatro Morlacchi, più grande e più ricco del primo.
Qualche anno più tardi il nobile Francesco Filippo Friggeri donava alla città la sua collezione privata di monete e suppellettili archeologici, dando vita al nucleo di quello che oggi è il Museo Archeologico Nazionale dell'Umbria. Pur se in una fase di decadimento, non mancarono iniziative volte a gettare le basi per un futuro diverso.
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